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6 luglio 2012 5 06 /07 /luglio /2012 09:40

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"Il pauroso non sa che cosa significa esser solo: dietro la sua poltrona c'è sempre un nemico". Friedrich Nietzsche


L'approccio strategico ai problemi umani parte dal presupposto che possiamo conoscere un problema soltanto mediante la sua soluzione. Questa prospettiva si basa dunque su una conoscenza operativa, ovvero finalizzata all'intervento e non alla pura classificazione.

Partendo da questi presupposti, non è di alcun aiuto classificare i disturbi in base a teorie psicologiche da confermare a priori, oppure secondo una mera osservazione statica dei sintomi come avviene nei manuali diagnostici psichiatrici (DSM).

Sulla base di queste premesse, da un punto di vista strategico i Disturbi Fobico-Ossessivi possono essere divisi in due categorie:

 - Le patologie che si esprimono con gli attacchi di panico

 - Le patologie dove il disturbo è costituito da quello che il soggetto fa o evita di fare per non sperimentare l'attacco di panico

Nel primo caso (attacchi di panico) ciò che invalida è il vissuto del panico, mentre nel secondo è la strategia adottata per evitarlo.

Usualmente esiste una sequenzialità temporale tra le due tipologie, ovvero nelle fasi iniziali della patologia la maggior parte delle volte si struttura un disturbo con la presenza degli attacchi di panico, che nel tempo evolve nella seconda tipologia in virtù degli evitamenti e delle rinunce dei soggetti di fronte all'eventualità di avere un attacco di panico.

Un altro aspetto importante della paura patologica è che non esistono paure più gravi di altre a livello di contenuto, quindi non è la paura in sé che conta, bensì l'interazione che il soggetto crea con essa.

In sostanza, più il soggetto fallisce nella gestione della paura, più ne risulta invalidato.

Le 10 tipologie di disturbi fobico-ossessivi più frequenti, emerse dalla rilevazione empirica condotta presso il Centro di Terapia Strategica di Arezzo su molte migliaia di casi negli ultimi vent'anni:

Paura di perdere il controllo, Paura di volare, Paura dell'altezza, Paura di perdere le persone care, Paura degli animali, Agorafobia e Claustrofobia, Paura del rifiuto sociale (fobia sociale), Ipocondria: paura delle malattie, Ossessioni compulsive, Dismorfofobia o fobia del proprio aspetto.

www.Psicologo-Enricochelini.it

 

 

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1 luglio 2012 7 01 /07 /luglio /2012 10:56

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"L'anima del piacere è nella ricerca del piacere stesso" Blaise Pascal

 

Difficoltà o disturbo dell'erezione
Si intende la ricorrente o persistente impossibilità da parte del maschio di raggiungere o mantenere l'erezione fino al completamento del rapporto sessuale.
Non è derivato da un problema di tipo organico o dall'utilizzo di sostanze o alcool.
In genere è l'effetto di un circolo vizioso psicofisiologico legato all'ansia da prestazione e al conseguente tentativo di controllo volontario sull'erezione che crea l'effetto paradossale dell'incapacità erettile.

Disturbo dell'eccitazione sessuale femminile
Si tratta dell'incapacità di raggiungere o mantenere fino al completamento dell'attività sessuale una risposta adeguata di eccitazione, per cui sono assenti o insufficienti la lubrificazione e la tumescenza dei genitali.
Di solito è l'effetto del circolo vizioso del tentativo volontario di provocare l'eccitazione che però la inibisce.

Eiaculazione precoce
È un problema che prevede la ricorrente o persistente presenza di eiaculazione a seguito di una minima stimolazione sessuale prima, durante o poco dopo la penetrazione.
Quando non sia presente una causa organica, è l'effetto dell'eccesso di controllo che paradossalmente fa perdere il controllo.

Vaginismo
È uno spasmo involontario della muscolatura del terzo esterno della vagina che interferisce con il rapporto sessuale, causando notevole disagio fino all'impossibilità della penetrazione.

Dispareunia
Si intende un ricorrente o persistente dolore genitale durante il rapporto sessuale in un maschio o una femmina. Il dolore può essere sia lieve che intenso e provoca notevole disagio personale e interpersonale

Disturbi del desiderio
Si intende sia il calo del desiderio (Desiderio Sessuale Ipoattivo), che la totale assenza di desiderio (Disturbo da Avversione Sessuale).
Nel primo caso ci si riferisce alla scarsità di desiderio sessuale che porta all'evitamento di contatti sessuali.
Per quanto riguarda l'avversione sessuale, è caratterizzata da estremo rifiuto ed evitamento di tutti, o quasi, i contatti genitali con un partner sessuale.
In alcuni casi alla base di questo problema ci può essere una fobia (per i genitali, lo sperma, le secrezioni vaginali ecc.).

Disturbo dell'orgasmo femminile
Si tratta della ricorrente o persistente assenza dell'orgasmo dopo una fase di eccitazione normale
Come la maggior parte di questi problemi è legato ad un circolo vizioso di tipo ossessivo.

Disturbo dell'orgasmo maschile
È un ricorrente o persistente ritardo, o assenza, dell'orgasmo dopo una fase di eccitazione normale
In sostanza il maschio non raggiunge l'eiaculazione o lo fa con molto ritardo.

Parafilie
Una parafilia è una perversione o una deviazione sessuale, ovvero un disturbo caratterizzato da modalità di eccitazione sessuale che prevede fantasie e/o comportamenti fuori dalla norma, che causano forte disagio personale e/o sociale.

 

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29 giugno 2012 5 29 /06 /giugno /2012 11:12

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"Le Parole sono come pallottole, usale con cura" cit.

 

All'interno dell'Approccio Strategico viene utilizzato il termine "presunte psicosi" poiché convinti che la diagnosi di psicosi sia nella maggior parte dei casi una diagnosi errata che facilita il crearsi, da parte dei familiari e degli operatori addetti alla salute una vera e propria "profezia che si autoavvera". L'assumere sin dall'inizio che un paziente sia psicotico significa "etichettarlo" e quindi rimanere intrappolati in una credenza che non permette alcuna possibilità di trattamento.

Lo psicologo clinico deve sempre adoperarsi per alleviare la sofferenza del paziente e di coloro che gli stanno attorno, anche quando tali casi sono considerati clinicamente non trattabili. Definendo il paziente come psicotico si crea, invece, la condizione in cui sia lo psicologo sia coloro che sono vicino al paziente, verranno inevitabilmente sopraffatti da una sensazione d'incapacità e impotenza nei confronti della patologia.

La parola "presunta" è già essa stessa sia terapeutica che ambivalente; da un lato, infatti, instaura un dubbio sia nel paziente che nei familiari, dall'altro getta un raggio di speranza accompagnata dalla sensazione che qualcosa può essere fatto. 
Se il trattamento ha successo e il paziente supera la sintomatologia psicotica, possiamo dunque affermare che non si trattava di un caso di psicosi. Molti sono stati i casi di pazienti diagnosticati come psicotici che, mediante interventi strategici, hanno completamente risolto la loro presunta psicosi.


Nel dire ciò non stiamo affermando di essere in grado di curare pazienti psicotici, ma bensì che attraverso interventi risolutivi è stato dimostrato come molti pazienti non fossero afflitti da una reale psicosi ma dai sintomi invalidanti che sono associati a tale disturbo.

 

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26 giugno 2012 2 26 /06 /giugno /2012 18:02

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"Non è la Specie più forte nè la più intelligente che sopravvive più a lungo ma quella più ricettiva ai cambiamenti" C. Darwin 


Dalla prospettiva strategico-costruttivista ognuno di noi costruisce la realtà che poi gestisce e/o viceversa subisce.



Ciò significa che la nostra percezione delle cose costruisce la realtà dei nostri comportamenti e viceversa.

Ogni essere umano ha dunque delle modalità ridondanti (ripetitive) di percezione della realtà e di conseguenti modalità reattive (sistema percettivo-reattivo) che esprime a livello delle 3 aree fondamentali di relazione:


 - Relazione con se stesso;


- Relazione con gli altri (nella coppia, nella famiglia, ecc.);


- Relazione con il mondo (nel lavoro, a livello sociale, ecc.). 


Sulla base di queste premesse, si può affermare che un problema relazionale è l'effetto disfunzionale di un irrigidimento della modalità di percepire e reagire ad una determinata realtà, che crea disagio alla persona in una o più aree di relazione.




Un problema relazionale (di coppia, familiare, sul lavoro, ecc.) significa perciò lavorare sulle modalità di percezione e reazione che adotta il soggetto nei confronti di se stesso, gli altri e il mondo circostante.




Secondo questa prospettiva, anche quelli che in Psichiatria e Psicologia Clinica vengono definiti Disturbi di Personalità sono identificabili con sistemi percettivo-reattivo estremamente irrigiditi che imprigionano il soggetto in un labirinto la cui uscita non può essere altro che il fallimento.

 

L’intervento strategico consisterà, attraverso l’uso di ristrutturazioni, metafore e compiti pratici a soverchiare il vecchio sistema percettivo rigido ridondante e disfunzionale in un modo di rappresentazione della realtà più funzionale e morbido al fine di far riprendere in mano, al soggetto, la propria vita.   


 

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24 giugno 2012 7 24 /06 /giugno /2012 00:32

bigburger

 

"Al di là dell'amore e dell'odio per il cibo" Giorgio Nardone

 

Il termine "dieta paradossale" è stato coniato dal prof. Nardone per indicare un particolare tipo di dieta basata sul piacere e non sul controllo forzato.

 

Osservando che la maggior parte delle diete non riescono a mantenere nel tempo i risultati raggiunti, si è rilevato come la ragione del fallimento risieda nel fatto che si basano tutte sull'idea del controllo, della limitazione e del sacrificio; questo le rende prima o poi insopportabili poiché vanno a interferire pesantemente con la sensazione fondamentale su cui si basa il rapporto dell’uomo con il cibo: il piacere. 

 

La dieta paradossale permette di uscire da questa trappola (basata sul controllo) mettendo proprio la sensazione del piacere a fondamento del programma alimentare, rendendolo così efficace e persistente nel suo equilibrio.

 

L’ Organizzazione alimentare della Dieta Paradossale è articolata in vari passi:

 

Il primo, definito delle "piacevoli fantasie”: guida la persona a orientare le proprie fantasie nella direzione dei cibi più desiderati, evocandone le sensazioni, per poi scegliere cosa mangiare durante la giornata; si tratta di un'autoinduzione suggestiva in cui le tentazioni, ovvero delle piccole trasgressioni alimentari, diventano una possibile scelta volontaria e non più una perdita di controllo scaturendo abbuffate. 

 

Il secondo passo consiste nel concedersi di mangiare, nei tre pasti principali, solo e soltanto quello che piace di più, curando il momento del pasto in tutti i particolari, in modo tale da renderlo il più gradevole possibile.

 

In virtù di questo, a partire da un’iniziale scelta dei cibi un tempo “proibiti”, la persona scopre che, una volta concessi, questi non sono più così desiderabili.

 

Nel lungo periodo la dieta paradossale si trasforma così nel risveglio delle più naturali disposizioni verso il cibo, facendo sì che le necessità orientino le scelte e che ciò che piace coincida con ciò che fa bene. Ultimo gradino fondamentale di questa organizzazione è l’integrazione nella propria vita di un’attività motoria, anch’essa scelta con il criterio della piacevolezza; solo in questo modo, infatti, l’attività fisica sarà in grado di far esperire sensazioni, emozioni e indurre pensieri, attivando così l’intera psicologia del soggetto e non solo il suo apparato motorio.


 

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23 giugno 2012 6 23 /06 /giugno /2012 10:04

punto-di-domanda

 

"Non so dirti se sarà meglio quando sarà diverso ma sono dell'opinione che debba cambiare se vuoi che migliori" cit.

 

1) Quanto dura un percorso o un intervento clinico con Approccio Strategico?

 

Per definizione l'intervento è focale e breve, ma l'esatta durata del trattamento psicologico varia a seconda delle situazioni. Nella maggior parte dei casi tale forma di intervento induce i primi cambiamenti già a partire dalle prime sedute del trattamento.

 

2) Le sedute sono settimanali?

 

Nelle prime fasi del trattamento le sedute possono essere sia a cadenza settimanale che quindicinale, a seconda del tipo di problema presentato e delle esigenze della persona stessa. Una volta ottenuto lo sblocco del disturbo, e quindi il primo sostanziale miglioramento, le sedute vengono ulteriormente distanziate per permettere alla persona di sperimentare nella propria vita quotidiana le ritrovate risorse e capacità, senza che venga a crearsi una forte dipendenza dalla figura del terapeuta. Il percorso si conclude infine con 3 controlli (follow-up) condotti a distanza di 3 mesi, 6 mesi e 1 anno dalla fine della terapia, per verificare il mantenimento del risultato nel tempo.

 

3) Quanto dura una seduta?

 

La durata di una seduta strategica non è mai predeterminata, ma varia di volta in volta a seconda delle diverse esigenze della persona in terapia, della fase del trattamento in cui si trova e del tipo di problema presentato. La durata della seduta può quindi variare ampiamente da un'ora o più (nei primi incontri) fino a venti minuti (generalmente nelle fasi avanzate del trattamento), a seconda della valutazione del terapeuta riguardo all'avvenuto raggiungimento degli obiettivi di ciascun incontro. Anche per quanto riguarda la durata della seduta, dunque, l'unica linea guida fondamentale seguita dallo psicologo è l'estrema flessibilità, guidata sempre però da specifici obiettivi prefissati.

 

4) I risultati sono duraturi nel tempo?

 

Come emerge chiaramente dai follow-up condotti a distanza di 3 mesi, 6 mesi e 1 anno dalla fine del percorso, la presenza di ricadute è minima e generalmente non si verificano nel tempo spostamenti del sintomo.

 

5) Si prevede l'utilizzo di farmaci?

 

In un intervento psicologico non si prevede l'ausilio di farmaci. Qualora il paziente arrivasse in terapia con una cura farmacologica in corso, si suggerisce di proseguire con questa seguendo le indicazioni del proprio medico o psichiatra. Sarà preoccupazione dello psicologo - negli ultimi stadi del percorso e in seguito a consultazione con il medico o lo psichiatra curante - renderlo in grado, se possibile, di ridurre gradualmente l'utilizzo dei farmaci, fino ad arrivare ad una completa interruzione dell'assunzione. Questo avviene, generalmente, in tutti i casi di disturbi d'ansia (ansia generalizzata, attacchi di panico, ossessioni, compulsioni, agorafobia e altre fobie), disordini alimentari o depressione reattiva, che giungono in terapia con una cura farmacologica in corso. Fanno eccezione a questa regola rari casi, solitamente disturbi psicotici o depressioni di tipo endogeno, in cui il terapeuta può ritenere utile una terapia di tipo integrato e ricorrere quindi alla collaborazione di uno psichiatra. In questi casi il terapeuta, in accordo con il paziente, richiede al collega psichiatra un supporto farmacologico che permetta di ottimizzare l'efficacia e l'efficienza dell'intervento psicoterapeutico.

 

6) Credo che un mio familiare abbia dei problemi che potrebbero essere risolti con l'approccio strategico, ma la persona in questione non vuole rivolgersi ad uno specialista. Cosa posso fare?

 

Molto spesso le persone che presentano determinati tipi di problemi, ad esempio disordini alimentari o particolari difficoltà relazionali, rifiutano di rivolgersi ad uno specialista o appaiono estremamente resistenti a qualsiasi tipo di intervento. In questi casi la famiglia, se adeguatamente indirizzata, può svolgere un ruolo fondamentale e determinante nel trattamento del disturbo. In queste situazioni lo psicologo che utilizza un approccio strategico è solito fare un primo incontro con i familiari, o con altre persone che sono vicine a colui che manifesta il problema, e valutare con loro cosa sia possibile fare per intervenire. Il terapeuta strategico potrà quindi dare indicazioni su come cercare di coinvolgere il "portatore del disturbo" nella terapia, oppure dare indicazioni concrete ai familiari su come comportarsi relativamente alla persona e al disturbo in questione, ricorrendo così ad una forma di terapia indiretta. In seguito a questo intervento può capitare che il "paziente designato" decida di entrare nel percorso in un secondo momento; negli altri casi si procede solo in maniera indiretta.

 

7) Il trattamento è puramente sintomatico? E se sì, c'è il rischio che una volta risolto un sintomo si vada incontro a sintomi sostitutivi?

 

Nell'approccio strategico ci si occupa da una parte di eliminare i sintomi o i comportamenti disfunzionali per i quali la persona è venuta in consulenza, dall'altra di produrre il cambiamento delle modalità attraverso cui questa costruisce la propria realtà personale e interpersonale. Ovvero, di produrre dei cambiamenti nella percezione della realtà della persona e non solo nelle sue reazioni comportamentali, in modo da spostare il suo punto di osservazione dalla posizione originaria, rigida e disfunzionale, ad una prospettiva più elastica e con maggiori possibilità di scelta. Questo porterà ad un conseguente cambiamento anche delle sue modalità comportamentali e delle sue cognizioni. Un percorso di tipo strategico non rappresenta quindi un trattamento puramente sintomatico, ed è proprio per questo che, una volta risolto il problema portato in terapia, non si sviluppano sintomi sostitutivi.

 

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21 giugno 2012 4 21 /06 /giugno /2012 10:55

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“Coraggio ce l'ho; è la paura che mi frega!” Totò


Secondo la classificazione del DSM IV esiste una macro-categoria denominata “Disturbi d'Ansia ” che comprende 6 principali disturbi:

 

-        Disturbo da Attacchi di panico,

-        Fobie, Disturbo d'Ansia Generalizzato,

-        Disturbo Ossessivo-Compulsivo,

-        Disturbo Post-Traumatico da Stress,

-        Disturbo Acuto da Stress.



 

Tuttavia da un punto di vista Strategico-Costruttivista , parlare di disturbo d'ansia non è propriamente corretto, anzi è fuorviante, poiché in realtà l'ansia è la reazione psicofisiologica della paura.

 

In sostanza, è più corretto parlare di disturbi fobico-ossessivi perché tutto parte dalla percezione di paura, che scatena delle emozioni (apprensione, preoccupazione, insicurezza, ecc.), che a loro volta innescano la reazione psicofisiologica di ansia (aumento del battito cardiaco, sudorazione, senso di vertigine, tremore, ecc.).



 

Una volta che questo meccanismo diventa patologico si crea un circolo vizioso per cui la paura scatena l'ansia e, viceversa, l'ansia aumenta la paura fino a che entrambe diventano al contempo sia causa che effetto.

 

Il grosso limite delle cure farmacologiche ansiolitiche è dunque quello di sedare l'ansia, ma di non avere alcun effetto sulla percezione di paura, per cui spesso, anche dopo un miglioramento iniziale, il problema si ripropone perché non è stato risolto alla base.

 

In realtà, un'adeguata terapia di tutti quelli che vengono classificati come “ disturbi d'ansia” prevede la risoluzione del disturbo fobico, e quindi della percezione di paura, che avrà come effetto l'interruzione della reazione psicofisiologica di ansia.

 

In un' ottica strategica si parla quindi di " paura patologica " e di “disturbi fobico-ossessivi” nelle varie forme che possono assumere e di conseguenza l'intervento terapeutico è indirizzato alla risoluzione del disturbo fobico che è alla base del problema.

 

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19 giugno 2012 2 19 /06 /giugno /2012 10:10

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"Se te lo concedi potrai rinunciarvi, se nn te lo concedi diventerà irrinunciabile" Giorgio Nardone                                                                                   

Il binge-eating è una patologia alimentare caratterizzata dall'alternanza tra grandi abbuffate e lunghi digiuni. Se in altre patologie alimentari il tentativo di compensazione alle abbuffate è realizzato mediante il vomito autoindotto, l'uso di lassativi e diuretici, la pratica fisica eccessiva... in questo disturbo è il digiuno a compensare.


Di solito la persona arriva a chiedere aiuto solo quando, per qualche motivo, perde il controllo sul disturbo (aumento di peso, situazioni di vita che cambiano...) e non riesce più a gestirlo.

A livello di intervento psicologico, lo scopo è quello di rompere il circolo vizioso che si instaura tra abbuffata e digiuno: per questi soggetti, infatti, il digiuno costituisce la tentata soluzione riparatoria alla perdita di controllo dell'abbuffata, mentre in realtà è proprio l'eccesso di controllo del digiuno che induce all'abbuffata successiva.

 

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19 giugno 2012 2 19 /06 /giugno /2012 10:09

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“Ogni cosa ripetuta un certo numero di volte diviene un piacere” Henry Laborit

 

La ricerca-intervento avviata nel 1993 presso il CTS di Arezzo sui disordini alimentari ha tra i suoi meriti maggiori quello di aver permesso l'identificazione di una forma particolare di disordine alimentare: la Sindrome da Vomito o Vomiting.

 

Lo studio empirico sulle modalità di persistenza dei disturbi alimentari ha permesso di stabilire che il vomito autoindotto - che in letteratura viene considerata una semplice variante di Anoressia e Bulimia - in realtà è un disturbo a sé.

 

Nello specifico è emerso che, se inizialmente i soggetti vomitano come condotta compensatoria alle abbuffate per non ingrassare, dopo un certo periodo di ripetizione di questa modalità scoprono il piacere rituale del mangiare e vomitare fino a strutturare una vera e propria compulsione basata sul piacere.

 

Seppur possa sembrare assurdo, il Vomiting è una vera e propria perversione basata sul piacere compulsivo del mangiare e vomitare.

 

Il prof. Giorgio Nardone ha definito questo disturbo una sorta di “specializzazione tecnologica” dei disordini alimentari, una “qualità emergente”.

 

La ricerca ha altresì messo in luce che esistono 2 varianti principali di Vomiting:

 

- Persone trasgressive compiaciute: Questi soggetti sono consapevoli del piacere estremo che deriva dalla loro perversione e non hanno alcuna intenzione di interromperla. Di solito giungono dallo psicologo forzati dai familiari, per cui sono riluttanti e si oppongono all'intervento.

Pur non essendo facile lavorare su questa tipologia di Vomiting, è possibile fare ricorso a sottili stratagemmi che aggirano la resistenza e l'oppositività dei pazienti portandoli al cambiamento senza che se ne rendano conto.

 

- Persone trasgressive pentite: I “pentiti” sono tali perché si rendono conto del prezzo salato che pagano in nome della loro perversione e decidono di chiedere aiuto per liberarsi di questo “demone”. Come le persone compiaciute, anche questi soggetti sono consapevoli di come funziona il loro disturbo. Malgrado la collaboratività dei soggetti, anche in questi casi è necessario avvalersi di stratagemmi poiché le sensazioni scatenate dalla patologia annichiliscono la volontà e la ragione.

 

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19 giugno 2012 2 19 /06 /giugno /2012 10:08

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“L'unica cosa a cui non posso resistere sono le tentazioni” Oscar Wilde

 

La Bulimia è un disturbo caratterizzato dalla compulsione irrefrenabile a mangiare in quantità enormi, non dettato dalla fame quanto dal desiderio sfrenato della consumazione di cibo.

 

Gli studi empirici condotti presso il Centro di Terapia Strategica di Arezzo hanno mostrato che quella che in letteratura viene definita “bulimia nervosa”, è caratterizzata dalla presenza del vomito autoindotto, in realtà presenta caratteristiche di persistenza peculiari che ne fanno un disturbo a sé, per cui è stata riclassificata da noi come “Sindrome da Vomito” o "Vomiting".

 

Nella prospettiva strategica si parla dunque di Bulimia solo quando siano presenti abbuffate di cibo , con eventuali condotte di eliminazione quali l'uso di lassativi e/o diuretici ed attività fisica eccessiva, ma non il vomito.

 

Gli studi sopracitati hanno altresì permesso di identificare 3 principali tipologie di bulimia:

 

1. Bulimia Boteriana: comprende quei soggetti che negli anni sono ingrassati a tal punto da ricordare i personaggi dei quadri del celebre pittore colombiano Fernando Botero. Si tratta di soggetti di solito “ ego sintonici ”, ovvero che si sono adattati al proprio problema e che giungono in terapia perché costretti dal medico e/o dal dietologo per via di problemi di salute dipendenti dall'eccesso di peso.

 

2. Bulimia da effetto “carciofo”: comprende quei soggetti per cui l'eccesso di peso e la battaglia col cibo rappresenta una specie di protezione da problemi affettivi e relazionali, poiché, rendendoli meno gradevoli di quello che potrebbero essere,           “permette” loro di orientare l'attenzione sul cibo e non su altri problemi.

 

3. Bulimia jo jo: comprende quei soggetti che alternano periodi di dieta, dove riescono a perdere i chili di troppo, a periodi in cui perdono il controllo sul cibo e riprendono tutti i chili con gli interessi.

Questi soggetti alternano momenti di grande fiducia nelle proprie capacità a momenti di scarsa autostima, per cui l'umore è fortemente condizionato dal rapporto con il cibo.

 

L' intervento terapeutico strategico di questi disordini prevede strategie differenti a seconda della tipologia di bulimia.

 

Anche nel caso della bulimia è necessario intervenire attraverso l'utilizzo di stratagemmi terapeutici che conducano allo sblocco del circolo vizioso poiché, seppur la maggior parte di questi soggetti sia collaborativa, non è in grado di interrompere razionalmente le proprie modalità disfunzionali.

 

In generale, la ricerca sull'efficacia dei trattamenti ha mostrato che circa il 91% dei casi trattati è stato portato a piena risoluzione.

 

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Chi Sono...

  • : Dr. Enrico Chelini - Psicologo Livorno
  • : Temi di carattere Psicologico rivolti alla salute e al benessere. Il Blog è gestito dal Dr. Enrico Chelini Dr. Magistrale in Psicologia Sperimentale, coach, Ipnotista di 1° livello, specializzando in Psicoterapia Breve Strategica presso il CTS di Arezzo diretto dal Prof. Giorgio Nardone. Iscritto all'Ordine degli Psicologi della Regione Toscana al n° 5887. Fondatore dell'Associazione Umanitaria Serendipity. Via delle Galere n°40 Livorno Via Provinciale Pisana n°3 Livorno w
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